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I difensori d’ufficio tra emergenza carceraria, sovraffollamento e carenze di risorse

I difensori d’ufficio tra emergenza carceraria, sovraffollamento e carenze di risorse

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Si chiamava Massimiliano. Aveva cinquantacinque anni. Tossicodipendente e affetto da problemi psichici. Dai giornali si apprende che era detenuto nel carcere di Terni per il reato di maltrattamenti in famiglia. Il Giudice ne aveva disposto l’allontanamento dalla casa familiare, dove viveva con l’anziana   madre.   Il   tribunale   di   Terni   aveva   chiesto   ai   servizi   socio – sanitari   di   trovare   una collocazione abitativa idonea anche in una struttura residenziale fuori provincia o fuori regione.

Della questione erano stati interessati i servizi sociali, la Usl e il servizio delle tossicodipendenze.

Nessuno   però   era   stato   in   grado   di   fornirgli   un   aiuto   concreto,  un   alloggio   idoneo   e   una sistemazione alternativa. Nel frattempo, Massimiliano aveva infranto il divieto di avvicinamento e così ne era stata disposta la custodia all’interno dell’Istituto penitenziario. Dopo due settimane all’interno del carcere, il primo maggio Massimiliano ha deciso di togliersi la vita.

Tale vicenda non può lasciarci indifferenti, non solo come uomini, ma anche e soprattutto come avvocati penalisti e difensori d’ufficio. Giornalmente, infatti, siamo chiamati a svolgere la nostra funzione sociale, garantendo un processo equo ai nostri assistiti e svolgendo un delicato ruolo di tutela delle persone che spesso si trovano in condizioni di vulnerabilità economica o sociale, evitando che restino prive dei loro fondamentali diritti.

Dall’inizio dell’anno sono ben venticinque i suicidi all’interno delle nostre carceri (nel 2024 sono stati ben 89).  Il sovraffollamento è sempre più grave nelle carceri per adulti, con circa 16 mila persone che non hanno un posto regolamentare, ed è ormai strutturale anche negli istituti penali per minorenni dove non si era mai registrato un tale aumento prima d’ora.

Il tasso d’affollamento,  secondo l’ultimo report pubblicato lo scorso 6 marzo dal Garante dei detenuti, è salito al  132,5 per cento: su 46.890 posti regolarmente disponibili (ma la capienza regolamentare sarebbe di 51.323), sono 62.130 le persone in carcere in Italia. In alcuni istituti queste percentuali schizzano in alto e superano il doppio del consentito, come a Milano San Vittore (218 per cento), Foggia (208 per cento) e Brescia Canton Mombello (202). donne – adulti) a fronte di una  capienza   regolamentare  pari   ad   un   totale   di  43.102   posti.   Senz’altro   la   categoria   più rappresentata in carcere e a maggior necessità di interventi sanitari è quella dei tossicodipendenti, seguita da extracomunitari ed altre categorie problematiche (sieropositivi, portatori di patologie psichiatriche, donne, minori, ecc.).

Il.c.d. Decreto Caivano varato l’8 novembre 2023 dal Consiglio dei ministri e convertito in legge il 13 novembre, minaccia di compromettere i progressi compiuti in 35 anni di sviluppo del sistema carcerario minorile, con la prospettiva di un aumento significativo del numero di giovani detenuti, soprattutto per reati legati alle droghe, a causa dell’espansione della custodia cautelare in carcere.

Tale sovraffollamento degli istituti penitenziari comporta che la pena si presenti in molti casi come disumana o degradante, senza alcuna possibilità di personalizzazione o rieducazione del detenuto.  Molti giuristi, come il Prof. Stefano Anastasia, hanno evidenziato come il carcere, anziché limitarsi all’esecuzione di una pena, finisca spesso per amplificare l’emarginazione e annullare l’identità del detenuto. In pratica, nelle nostre carceri non vi è alcuna possibilità di redenzione.

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” recita il secondo comma dell’art. 27 della nostra costituzione, ma tale articolo viene quotidianamente disatteso. Chi entra all’interno di un istituto penitenziario nella maggior parte dei casi ne esce peggiorato a causa di condizioni invivibili, ma soprattutto a causa di una patologica carenza di risorse.  Come ha rilevato recentemente la Corte dei Conti, L’emergenza è legata   alla «mancata realizzazione di numerosi interventi e l’urgenza di completare quelli di manutenzione straordinaria già avviati, per migliorare le condizioni ambientali, igienico-sanitarie e di trattamento all’interno degli istituti». I nostri istituti penitenziari sono vetusti, obsoleti e fatiscenti e mancano del tutto i fondi per permettere un programma rieducativo del detenuto e a sostenere i servizi specialistici nell’opera di tutela e reinserimento. Gli operatori trattamentali sono lasciati in solitudine nell’affrontare problematiche spesso irrisolvibili a causa dell’inefficienza dello Stato.

Sono del tutto assenti politiche volte al rafforzamento della polizia penitenziaria e alla formazione degli agenti, che non solo costituiscono un numero esiguo ma vengono abbandonati nel compito   custodiale   senza   alcun   supporto.   Sono   pertanto   urgenti   e   necessari   interventi   volti all’abbattimento del sovraffollamento fino a riportarlo a parametri coerenti con la dignità della persona. E’ necessario che vengano stanziate fondi importanti al fine di permettere ai servizi specialistici di poter operare con tutti i mezzi a loro disposizione per il reinserimento sociale del detenuto. In questa situazione, come avvocati e difensori d’ufficio siamo chiamati ad affrontare problematiche difficili e non sempre risolvibili. Ci battiamo giornalmente nelle aule di giustizia per garantire i diritti degli ultimi, proponiamo misure alternative alla detenzione, sollecitiamo tempi rapidi per le udienze, collaboriamo con i magistrati per identificare i casi in cui la detenzione preventiva possa essere revocata o sostituita, ma ciò non basta. Dobbiamo monitorare le condizioni detentive al fine di garantire il rispetto degli standard minimi di dignità. Dobbiamo supportare il reinserimento sociale e individuare i percorsi riabilitativi idonei collaborando con i servizi sociali e denunciando   eventuali   carenze   ove   riscontrate.   Dobbiamo   necessariamente   coinvolgere   e collaborare le associazioni e il garante dei detenuti per amplificare la portata delle nostre denunce e ottenere maggiore attenzione sui singoli casi.

ADU PERUGIA “Ida Pileri” è particolarmente sensibile a questo tema.

Il nostro   compito   non   è   semplice.   Non   verremmo   gratificati economicamente a causa delle tardive e risicate liquidazioni giudiziali delle nostre competenze, ma se grazie al nostro lavoro un altro Massimiliano non morirà nella solitudine del carcere e potrà reinserirsi nella società dopo aver scontato la sua pena allora avremo dimostrato che la giustizia non è solo punizione, ma anche redenzione e che il diritto non si limita a sancire colpe, ma ha il dovere di offrire possibilità per chi ha espiato, rafforzando i principi stessi su cui si fonda una società veramente libera e giusta.

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